INTRODUZIONE
Col trascorrere degli anni, il linguaggio musicale si modifica, in tutte le sue forme ed in tutti i suoi aspetti.
Com’è ovvio che sia, in un simile
quadro in costante mutamento, anche gli strumenti
nelle mani di chi si è trovato,
si trova e si troverà
ad insegnare “musica” saranno diversi,
a seconda dell’epoca
che andremo ad analizzare. A questa regola non si sottraggono i trattati/metodi didattici per l’insegnamento della tromba,
e non è necessario un diploma di Conservatorio per arrivare
ad intuire che la didattica
di questo strumento
ha subito profonde modificazioni, sostanzialmente per due motivi:
1
– La nascita
del repertorio strumentale, come diretta conseguenza dell’adozione – a partire dalla fine del XVIII secolo – di una metodologia didattica definita
lineare.
2
– La mutata condizione del musicista d’orchestra, chiamato
sempre più spesso
ad eseguire correttamente una partitura scritta con dovizia di particolari esecutivi (dinamiche, articolazioni, fraseggi, e quant’altro).
Sotto un profilo che abbraccia differenti ambiti di analisi,
anche extra – musicali (filosofia, sociologia, urbanesimo, architettura, progresso scientifico, evoluzione tecnologica, perfino le scoperte geografiche), è possibile
quindi tracciare due confini
storici più o meno marcati: il primo è da definire “pre – romantico”, ed il secondo
– per assonanza
– “post – romantico”.
In epoca precedente al Romanticismo musicale, infatti,
l’esecutore, il compositore e l’improvvisatore coesistevano quasi sempre
nella medesima persona,
la quale si trovava a suonare,
comporre musiche
d’uso corrente (per lui, per i suoi colleghi e per il pubblico), e spessissimo ad improvvisarci sopra, esattamente come gli odierni strumentisti appartenenti all’area
della pop music. In ambito didattico, questo aspetto
si traduceva in un rapporto
docente/discente paragonabile a quello della bottega artigiana, in termini di processi
di trasferimento di competenze, conoscenze ed abilità.
Con l’avvento del movimento romantico, inizia la trasfigurazione di molte forme musicali, le quali, da strutture
formali d’uso corrente
assurgono al rango di forme “colte”
(un esempio su tutti: la forma – sonata), e la cosiddetta “didattica lineare”, mantenendosi in perfetta
e coerente
linea con la produzione in serie di beni di consumo semilavorati, tipica dei grandi stabilimenti industriali sorti nei primi decenni del XIX secolo, produce centinaia
e centinaia di esecutori
con le medesime
caratteristiche e formatisi
sugli stessi metodi (strumenti didattici che, nel giro di breve tempo, soppianteranno gli antichi
trattati di interpretazione e prassi esecutiva: oggi, dando
uno sguardo ad un catalogo di una qualsiasi casa editrice
musicale, si può facilmente avere un ordine di grandezza
dell’enorme diffusione che la metodica
ottocentesca abbia avuto).
Questa situazione non cambierà, perlomeno
in Europa, se non dopo la Seconda Guerra Mondiale, sull’onda lunga degli effetti che il jazz e le avanguardie
apportarono al linguaggio musicale. In un’ottica
post – romantica, quindi, si assiste, in buona sostanza, al prendere corpo di un rinnovato interesse per tutto ciò che la notazione tradizionale non riesce ad esprimere
sulla carta, in termini di qualità timbriche innanzitutto, ma anche – in seconda
battuta – di ritmo, fraseggio
ed espressione.
Lo scopo di questo “lavoro” è mettere a confronto due
stili di didattica strumentale, tra passato e presente, dell’insegnamento della
tromba.
I testi che verranno comparati in questo lavoro saranno dunque:
1
– Modo Per Imparare A Sonare Di Tromba, di Girolamo Fantini (1638) – TIB01, a cura di
Igino Conforzi, Ut Orpheus
Edizioni, Bologna,
1998.
2
– Nuova Scuola d’Insegnamento della Tromba in Sib. (Cornetta) e Congeneri, di Serse Peretti
(1922) – E.R. 644, Edizioni G. Ricordi, Milano.
1 – MODO PER IMPARARE A SONARE DI TROMBA
G.FANTINI, 1638
Il testo consultato è una ristampa anastatica dei manoscritti originali, conservati in varie Biblioteche (Firenze, Bologna, Venezia, Berlino, Parigi,
New York); anagraficamente, non è il primo testo che
prende in esame il corpus delle informazioni relative alla tromba, in quanto
Tutta
l’Arte Della Trombetta
(!) di Cesare
Bendinelli è stato pubblicato nel 1614, quasi venticinque anni prima: di sicuro è il primo testo che affronta
il materiale (teorico e pratico)
con una certa organicità, con lo scopo – non palese ma facilmente apprezzabile – di affrancare uno strumento
fino ad allora utilizzato al di sotto delle sue reali potenzialità; si legge,
infatti, a pagina VII:
II Modo per imparare a sonare di tromba costituisce un’opera fondamentaIe neIIa storia di questo strumento. AII’inizio deII’epoca barocca Ia tromba era ancora reIegata a funzioni miIitaresche e cerimoniaIi che rispecchiavano una tradizione radicata nei secoIi e tramandata per Io più oraImente. Fantini
contribuisce in modo determinante aII’accogIimento deIIa tromba neI mondo deIIa musica coIta che, tra ‘500 e ‘600, aveva determinato un forte mutamento neIIa tecnica costruttiva ed esecutiva degIi strumenti.
La prima prende in considerazione il corpus delle informazioni teoriche e pratiche
da possedere
in via preliminare: la successione degli armonici e le quindici toccate, per esempio, costituiscono un primordiale esempio di “repertorio” della tromba
– fatte le debite
considerazioni di carattere storico,
stilistico e sociologico –, nel quale grande
attenzione è riposta nell’articolazione dei suoni e nel fraseggio; l’Autore, infatti, avverte che
Devono i professori di detto strumento sonare con Iingua puntata,
che iI sonar di fiato non forma voce perfetta.
[…] quando si troveranno note di vaIore, cioè di una, di dua, e quattro battute, si devono tenere
in modo cantabiIe, con mettere
Ia voce piano, e poi venir crescendo sino aI mezo vaIore deIIa nota, e con I’aItro mezo andar caIando sino aI fine deIIa battuta […] Ia Tromba non forma né du né ut: però si devono fuggire come fa iI perfetto cantore, che non forma passaggi né in i, né in u.
In effetti,
vedere una serie di
note con una, o anche più, serie di indicazioni di fraseggio indicate sotto di esse (dalle più semplici,
come “te-ghe-da” alle più complesse
ed evocative – oggi farebbero sorridere – come “butta-la-tenda”…) è un fatto che lascia trapelare
che già verso la metà del XVII secolo,
la tecnica della tromba
era già piuttosto evoluta e raffinata, nonostante la limitatezza dei contesti nella quale era utilizzata.
La seconda parte, invece, comprende una collezione di composizioni (sonate e danze per tromba e continuo
o a due trombe, per lo più), dedicate a nobiluomini, in maggioranza fiorentini.
La struttura melodica,
armonica e formale di queste composizioni, alcune di esse scritte per altri strumenti
ed adattate per essere eseguite
con la tromba, è piuttosto
semplice: si tratta per lo più di forme bipartite, con armonie che raramente
si
discostano dall’alternanza di accordi di tonica e dominante, e con melodie di carattere marcatamente diatonico1; ciò nonostante, risulta interessante valutare un primo tentativo di affrancamento della tromba dall’utilizzo prettamente militaresco.
2 - NUOVA SCUOLA D’INSEGNAMENTO DELLA TROMBA IN SIB.
(CORNETTA) E CONGENERI
S. PERETTI
(1922)
(N.B. Quest’opera è divisa in due parti; nel presente
lavoro comparativo, viene esaminata soltanto
la prima.)
Nella Prefazione al suo metodo, Serse Peretti, Insegnante di Tromba,
Trombone e Congeneri2 presso il Conservatorio “Verdi” di Milano, si lamenta
della deriva eccessivamente espressiva degli strumenti d’ottone a bocchino,
a seguito dell’introduzione dei pistoni, avvenuta qualche
decennio prima.
Il
metodo, quindi, si propone come una sorta di mezzo di “restaurazione didattica”, attraverso un’operazione editoriale combinata: da una parte, il riappropriarsi dei tratti che costituiscono l’idioma
originale della tromba, dall’altra il recepire le novità introdotte dai metodi per gli altri strumenti (Kreutzer per il violino, Dotzauer per il violoncello, Czerny e Hanon per il pianoforte, e via di seguito).
Non è un caso, quindi, che, dopo la Prefazione, siano riportate
«Notizie Storiche e Tecniche
sulla Tromba» e venga data notizia
del più corretto «Modo di Tenere lo Strumento».
La grande differenza tra il Peretti e il Fantini è evidente
già dalle primissime pagine; infatti, se nel secondo
si potevano delimitare, con sufficiente tranquillità, due grandi sezioni, nel primo l’Indice
conta ben ventuno capitoli, dei quali i primi tre discorsivi. Inoltre,
a rimarcare la diversità delle due pubblicazioni, sta il fatto che ognuno
dei diciotto capitoli, per così dire,
“pratici” del Peretti
prende in considerazione uno dei tanti aspetti della tecnica strumentale, e su di essi si indugia anche molto,
come dimostrano i numeri nella tabella riportata di seguito. Anche numericamente, quindi,
si valuta senza troppo sforzo il peso dato agli esercizi per lo sviluppo
ed il potenziamento delle caratteristiche di resistenza dell’allievo, in termini di muscolatura facciale.
Si ravvisa, quindi, una polemica
neanche troppo
velata con altri
metodi usati al tempo di Peretti,
primo fra tutto quello di Arban3, al quale Peretti contesta l’eccessivo peso assegnato
agli aspetti della mera tecnica,
secondo lui fine a sé stessa.
Sforzandosi di trovare una motivazione sensata ed appropriata a questo tipo di atteggiamento, si può ragionevolmente affermare che Serse Peretti, nella duplice veste di Docente
di Conservatorio e di membro dell’Orchestra del Teatro alla Scala di
Milano durante i primi decenni del ‘900, si sia reso
conto – ad un certo punto
della sua carriera – che, per essere in grado di esercitare dignitosamente la professione di orchestrale in un teatro italiano di inizio XX secolo, non fosse necessaria troppa tecnica, o quantomeno che questa
fosse subordinata alla resistenza muscolare: a titolo
di lecito avallo di questa tesi, si rilegga
la frase – chiave della Prefazione, riportata nella pagina precedente che bolla come “intempestiva” ed “ingiustificata” la fretta di molti esecutori
(allievi, docenti e/o professionisti in senso lato) nel cimentarsi con il legato,
lo staccato e “l’agilità meccanica” correlata
a questi aspetti
della tecnica.
Il suo metodo,
pertanto, costituisce uno strumento
didattico rivolto a quell’utenza studentesca, primo – novecentesca
e nord italiana, destinata all’inserimento nelle fila di qualche
orchestra più o meno stabile,
impegnata a proporre sostanzialmente repertorio operistico italiano, francese e tedesco
collocabile storicamente tra il 1830 ed il 1910. Il fatto che, ancora oggi, il Peretti
sia utilizzato nei Conservatori italiani4 dimostra quanto la didattica
strumentale, anche ai livelli più alti del sistema – istruzione, non sia al passo coi tempi: un percorso
di studi come quello tracciato
da Peretti appare oggi anacronistico, a cominciare da un realistico quanto cinico ragionamento sulle opportunità di
impiego in ambiti
lavorativi come quelli descritti poc’anzi;
la professione trombettistica di oggi impone che metodi come questo vadano integrati con materiali
più aggiornati.
NUOVA
METODOLOGIA D’INSEGAMENTO PER LO STUDIO DELLA TROMBE E CARATTERISTICHE
PRINCIPALI DEI BOCCHINI
In
considerazione che i “Vecchi metodi Tradizionali” restano comunque un valido
aiuto per l’insegnante, ora l’innovazione nella didattica moderna per
l’insegnamento della Tromba, induce l’insegnante all’introduzione, nonché
all’uso di una metodologa d’insegnamento che richiama vari aspetti, non
riguardanti solo ed esclusivamente la tecnica dello strumento, ma anche aspetti
cosiddetti “fisici” che interessano la muscolatura facciale, con degli esercizi
di “Buzzing” (vibrazioni con il solo bocchino), agli esercizi di flessibilità
(advanced lip Flexibilities) e gli esercizi di respirazione polmonare e
diaframmatica, aspetti che migliorano di gran lunga la qualità del suono, che
associati agli esercizi di tecnica, contribuiscono alla crescita musicale di un
buon Trombettista. Vari sono i metodi presenti in commercio, tra i più validi
citiamo WARM – UPS di James STAMP e Metodo ASA (atmung stutze ansatz method) di
Rolf QUINQUE.
Per ultimo, ma non meno
importante, è la conoscenza delle parti che compongono il proprio strumento,
una delle quali è il Bocchino. E’ molto importante conoscere le caratteristiche
di un bocchino in quanto una scelta sbagliata può rallentare o addirittura
compromettere la carriera.
CONCLUSIONI
Per questi motivi, in sede di considerazioni finali, chi scrive si prende la libertà di consigliare una metodologia didattica che recuperi l’aderenza storica a cui si faceva cenno in precedenza: i due metodi analizzati, ribadiamo, sono al passo coi tempi in cui sono stati dati alle stampe,
mentre da troppo
tempo, nei luoghi deputati
alla formazione musicale
in Italia, si osserva
un sostanziale e depauperante anacronismo, in termini
di programmi di studio
e di metodi di insegnamento (intesi sia come testi che come prassi),
votati come sono alla linearità
e alla ri-creazione, nell’accezione più negativa
di «ennesima riproduzione di un progetto
creato da terzi»
senza che venga richiesto o incoraggiato l’intervento realmente
creativo dell’allievo. Non è
impossibile ipotizzare una metodologia che pur mantenendosi in linea con la
tradizione accolga le novità introdotte da altri metodi con tutta probabilità, si potrebbe
ottenere una pratica
didattica da un lato efficiente e produttiva per gli insegnanti, dall’altro lato appagante ed emotivamente stimolante per gli allievi.
Personalmente ritengo che ogni metodo ha la sua importanza, ma un buon
insegnante di strumento, qualsiasi esso sia, avrebbe bisogno inizialmente, di personalizzare
un proprio metodo di insegnamento, in considerazione all’apprendimento
dell’allievo e dalle qualità che lo caratterizzano.
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