mercoledì 25 maggio 2016

CONCERTO PER TROMBA ED ORCHESTRA - J.N. HUMMEL


JOHANN NEPOMUK HUMMEL:


NOTE BIOGRAFICHE





LA VITA
 

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Nato a Bratislava (Boemia) il 14 novembre 1778, Johann Nepomuk Hummel

(nome boemo Johan Nepomuka) riceve le prime lezioni di musica dal padre Johannes, il

quale all’epoca aveva già avuto diversi incarichi, anche di un certo prestigio: violinista

della cappella viennese del principe Grassalkovic; direttore musicale del Collegio

Militare Wartberg, nei pressi di Bratislava; direttore del Theatre auf der Wieden (quello

che poi diventerà il Theatre an der Wien) di Vienna, ove l’impresario è Schikaneder . La

famiglia Hummel si stabilisce in questa città nel 1785, e il piccolo Johann viene notato da

Mozart, il quale lo ospita in casa, dandogli lezioni di pianoforte per 2 anni; nel 1787, fa

probabilmente il suo debutto in pubblico, in un concerto diretto dallo stesso Mozart: la

carriera concertistica ha inizio ufficialmente due anni dopo.

Accompagnato dal padre, Johann Nepomuk si esibisce in diverse tournées in

quasi tutta Europa, stabilendosi prima ad Edimburgo e poi a Londra, nel 1790: nella

capitale britannica ha modo di prendere alcune lezioni da Muzio Clementi.

Il ritorno a Vienna risale al 1793: qui si perfeziona con musicisti come

Albrechtsberger e Salieri, perfino con Haydn, il quale lo inizia alla tecnica organistica;

gli anni viennesi sono pieni di soddisfazioni, sia economiche che personali, per Hummel

già nel 1799, egli è infatti considerato uno dei migliori pianisti del tempo, specialmente

per le sue doti improvvisative. Sfrutta rapidamente e nel modo migliore la sua fama: è

noto che il giovane Franz Liszt diventa allievo di Czerny solo perché suo padre non
poteva permettersi le esorbitanti richieste di Kummel, in qualità di insegnante.
Haydn, nel 1804, lo raccomanda personalmente al principe Esterhàzy, il quale lo
assume come maestro di cappella a Eisenstadt. La sua maggiore inclinazione alla
composizione e alle lezioni private, però, gli fanno perdere questo incarico nel giro di
sette anni, per cui, alla fine del 1811 rientra a Vienna: qui vive per alcuni anni, dando
lezioni e concerti (alcune cronache affermano che partecipa come timpanista ad una

esecuzione del Wellington’s Sieg di Beethoven, nel 1814).
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Nel 1813 sposa la cantante Elisabeth Röckel, sorella di un cantante molto vicino

a Beethoven piuttosto apprezzata all’Opera di Vienna; due anni più tardi è nominato

Hofkapellmeister a Stoccarda, carica dalla quale si dimette nel 1818 a causa dei contrasti

con l’impresario del Teatro di Corte, non prima di aver preso posizioni a favore di

Mozart, Salieri, Beethoven e Cherubini; allora, accetta la nomina a maestro di cappella

presso la corte del Granducato di Weimar, conservando il posto fino alla morte. Qui, il

generosissimo trattamento economico, che prevedeva tra l’altro tre mesi di vacanza

all’anno, gli permette di mantenere un’intensa attività concertistica, anche al di fuori

dell’Impero Asburgico: Germania, Belgio, Inghilterra, Francia, Polonia (è della fine del

1818 l’incontro con Chopin), Russia (fa parte della delegazione della Granduchessa di

Weimar a Pietroburgo, nel 1822).
Muore a Weimar il 17 ottobre del 1837.
La sua carriera artistica inizia con una forte influenza stilistica di Mozart. Gli
storici sono concordi nel dividere tra Kummel e Ignaz Moscheles la discendenza diretta
del panismo mozartiano, così come sono concordi nel definire la scrittura hummeliana
per pianoforte un “anello di congiunzione” tra il Grande Viennese e Chopin da una parte
e Liszt dall’altra, specialmente per quello che riguarda l’uso degli abbellimenti.
I critici a lui contemporanei gli attribuirono una musicalità piena di “grazia,
purezza e raffinatezza classica” (1823); oggi, col senno di poi, si può notare qualche
pecca a livello di profondità dei contenuti, con un ricorso talvolta eccessivo agli
abbellimenti proprio per nascondere questa superficialità.
 
Generalmente, Johann Nepomuk Hummel si colloca, per ragioni cronologiche ed
artistiche, tra Classicismo e Romanticismo, come testimonia, ad esempio, l’uso poco
spinto del pedale nelle composizioni pianistiche; questa, insieme ad altre concezioni
nuove, incisero piuttosto profondamente anche nel suo metodo didattico: la sua

Anweisung zum Pianofortespiel si pone allo stesso livello dei lavori d’insegnamento di

Czerny e Kalkbrenner, ed offre soluzione di estrema semplicità; purtroppo, però, l’opera

si pone in ritardo per i suoi tempi, in quanto il pubblico dell’epoca ha già cominciato ad

apprezzare di più uno stile più patetico, “alla Liszt”.

 

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La produzione di Hummel è enorme, tutta concentrata in un lasso di tempo

relativamente breve; come il suo maestro e mentore Mozart, ma anche secondo una prassi
consolidata per il tempo in cui visse, gli ambiti nei quali il musicista boemo si cimenta
sono eterogenei, e classificabili come segue:


COMPOSIZIONI PER IL TEATRO: 8 opere teatrali complete e 7
Singspielen; arie, pezzi d’insieme e ouvertures per opere a nome di altri

compositori (tra questi, Gluck, Auber, Mozart, Weigl, Gyrowetz, Kanne e

Beethoven); numeri di balletti; musiche di scena.




COMPOSIZIONI PER ORCHESTRA: marce, ouvertures, minuetti, trii,

polacche, valzer, danze varie.

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COMPOSIZIONI PER STRUMENTO E ORCHESTRA: 8 concerti, rondò,
concertini, tema con variazioni, fantasie per pianoforte ed orchestra; un potpourri

per viola; un tema con variazioni per oboe; un concerto per fagotto. Non ha

numero d’opera il Concerto per tromba ed orchestra.




COMPOSIZIONI VOCALI: 6 cantate per solista, coro ed orchestra, 5
messe complete, numerosi pezzi sacri sciolti, un oratorio, cori, Lieder.
MUSICA DA CAMERA: numerosissimi trii, quartetti, quintetti, sestetti e

settimini (organici variabili, con o senza pianoforte), sonate, rondò, notturni,

potpourris, capricci, danze.
 
 

ANALISI DEL BRANO


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Prima di procedere all’analisi del concerto, è necessario fare una premessa.

La partitura di riferimento è quella ridotta per pianoforte e tromba7, trasposta un

semitono sotto (da Mi maggiore a Mi bemolle maggiore) per facilità di esecuzione con

strumenti in Si bemolle. Le conseguenze acustiche ed esecutive di questo abbassamento di tonalità verranno esposte nel successivo capitolo.

Lo schema formale della composizione si rifà, in linea generale, a quello del

concerto classico per strumento solista ed orchestra: un Primo Movimento, Allegro con
spirito, con cadenza finale, nella tonalità d’impianto (Mi maggiore); un Secondo
Movimento, Andante, alla sottodominante con cambio di modo (La minore); infine, il
Terzo Movimento, in forma di Rondò, Allegro, nuovamente in Mi Maggiore. Le novità di

questa composizione possono essere trovate nei contenuti, più che nella forma: l’analisi

che segue si propone di evidenziare queste novità stilistiche.


 

PRIMO MOVIMENTO – ALLEGRO CON SPIRITO
 



 
 
Uno sguardo d’insieme lascia intendere che il Movimento ricalca la struttura
bitematica e tripartita tipica degli Allegro di Sonata, sperimentata con successo da
Beethoven nelle composizioni per piano solo: questo dimostra l’influenza stilistica che
quest’ultimo esercitò su Hummel, come anticipato nel capitolo dedicato alla sua
biografia, e anche la datazione del Concerto per Tromba ed Orchestra (1803) ne è prova.
Il concerto si apre con un’introduzione orchestrale piuttosto lunga, nella quale
vengono anticipati gli spunti tematici principali del solista, intercalati da figurazioni
ritmiche e melodiche che si riveleranno essere proprie dell’accompagnamento
orchestrale: in totale 65 misure (nella riduzione per pianoforte, c’è l’indicazione di un
taglio opzionale da misura 29 a misura 59 comprese). Ovviamente, questo episodio
introduttivo inizia nella tonalità d’impianto, ma già dopo 21 battute si modula alla
dominante: la conferma del nuovo centro tonale, sebbene passeggero, dura 9 battute,
dopodichè un breve spunto omoritmico a crome col punto e semicrome (misure 31 – 34),
di sapore vagamente orientale con il sesto grado abbassato, prepara ad un pedale di Si
maggiore il quale va ad esaurirsi con la corona di misura 42.
La ripresa avviene con il richiamo (o, meglio, con l’anticipazione…) del secondo
tema della parte solistica, dapprima alla tonica e poi sul secondo grado; un passaggio al
basso della melodia principale, concluso da un’armonia di sottodominante, apre la strada
alla frazione conclusiva dell’introduzione orchestrale, nella quale tutto ruota intorno al
quinto grado, ora con funzione di tonica, ora di pedale vero e proprio.
La tromba solista esordisce col primo tema a misura 66: è un tema chiaramente
trombettistico, maschile, fiero e risoluto nella prima frase, più delicato nella seconda, per
poi ritornare battagliero nella terza. Da notare l’elemento di novità ritmica, costituito
dalla figurazione terzinata delle misure 82 e 83.
L’esposizione del primo tema si può considerare conclusa alla battuta 90,
momento in cui inizia il ponte modulante: un disegno melodico iniziale a valori
relativamente larghi si infittisce via via, mentre la progressione armonica scorre fluida,
con una successione ben bilanciata di II – V – I che portano al secondo tema, in tonalità

di Si maggiore (misura 111, quarto movimento). Anche in questo caso, il corpus

tematico può essere scisso in tre frammenti: i primi due sono pressoché simili,

sostanzialmente diatonici, mentre il più interessante è il terzo, in quanto c’è una

modulazione di passaggio a Sol maggiore, il sesto grado minore (!). Un espediente

inusuale, fino ad allora, dove si osserva un andamento decisamente cromatico del basso:

difficile riscontrare qualcosa di simile nelle composizioni per strumento ed orchestra

precedenti, a ulteriore testimonianza della relativa vicinanza (stilistica e geografica) di

Hummel a Ludwig Van Beethoven.

Una figurazione a salti sempre più ampi, a crome, seguita da due chiari arpeggi
discendenti Si maggiore – Fa# maggiore e da una loro successiva elaborazione a terzine,
aprono la strada all’ultima parte dell’episodio solistico, che segna un “ritorno alla
tradizione”, con quel trillo Do# - Re# a chiudere sul Si maggiore di arrivo di misura 146.
A questo punto, per dar modo al solista di “tirare il fiato”, nel vero senso della

parola, il compositore prevede un interludio orchestrale8 che richiama molto

l’introduzione, specie nella sua parte finale; una decisa virata la si avverte a misura 170:

nello spazio di sei battute, si passa dal Si maggiore di prima al Do maggiore della ripresa

del primo tema, passando di nuovo attraverso il Sol maggiore: alla luce della nuova

tonalità, quel Sol maggiore descritto poche righe innanzi si può considerare

un’anticipazione del discorso che si sta preparando.

Sull’ultimo movimento della misura 175, dunque, inizia la ripresa nella tonalità

di Do maggiore: una sorta di “riassunto” di quanto ascoltato fino a quel momento, dove si

ha modo di sentire i due spunti tematici principali (il primo finisce sul primo movimento
di battuta 182, il secondo, invece, sul primo movimento di 186), ed un passaggio
modulante di carattere melodico nella prima frase (ultimo movimento di 189 – levare di
197) e nuovamente a salti nella seconda frase, con un disegno simile ma presentato
dapprima per crome e poi per terzine; tutto ciò sfocia in un pedale di dominante,
nuovamente in Si maggiore (misure 201 – 210), il quale porta direttamente alla ripresa
del tema nella tonalità d’origine.
Da un punto di vista stilistico, questo episodio appena descritto potrebbe avere
una sua spiegazione col fatto che, con tutta probabilità, il compositore abbia inteso di
mostrare le potenzialità cromatiche dello strumento, il quale, con l’ausilio delle chiavi,
era in grado di suonare cromaticamente e in tonalità anche piuttosto lontane tra loro.
Inoltre, la ripresa dei due temi della prima parte, che inizia a misura 210, richiama
vagamente la pratica dell’”aria col da capo”, tanto in uso nel melodramma del ‘700 e dei
primi dell’’800.
Fino alla misura 220, dunque, il tema iniziale viene riproposto tale e quale,
dopodichè prende forma un episodio caratterizzato dalla modulazione di passaggio in La
maggiore, che porterà nuovamente al Mi maggiore d’impianto passando attraverso le
tonalità di Fa# (prima minore, poi maggiore) e di Si; il tutto compreso nelle misure da
221 a 240. Qui, la parte solistica non fa altro che riproporre frammenti tematici già
ascoltati in precedenza, ovviamente trasposti nella nuova tonalità: la medesima cosa
accade da 241 a 247, dove l’andamento melodico e ritmico richiama quasi fedelmente
quello delle battute da 100 a 106.
Il procedimento delle “riproposizioni” continua, essenzialmente, fino alla
cadenza, posta a misura 286: dopo la libertà lasciata al solista, il Primo Movimento va a
concludersi in maniera piuttosto tradizionale con uno “stretto” costruito su un’armonia di
dominante (i cromatismi del basso si possono intendere come note di passaggio, la
costruzione è sostanzialmente sulla dominante) e da un moto melodico agitato, dapprima
terzinato, poi a quartine di semicrome, infine con un classico trillo Fa# - Sol# a chiudere
poi sul Mi. Le 13 battute che portano alla fine sono prese quasi tali e quali
dall’introduzione.
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SECONDO MOVIMENTO - ANDANTE
 
 
La prima cosa che spicca, nell’edizione consultata, è l’indicazione ritmica: il
tempo è “a cappella”, con accordi battenti a terzine per quasi tutto il movimento (da
misura 1 a 52, su un totale di 71), e le parti gravi a sottolineare l’armonia ad accordi
spezzati (nella versione orchestrale, questa linea è eseguita da violoncelli e contrabbassi).
Le prime tre misure servono da introduzione al tema solistico: l’unisono di misura 1
lascia brevemente nel dubbio “maggiore/minore”, toccando i gradi primo, quarto e quinto
i quali, per definizione, sono costanti nei due modi: la conferma del La minore
d’impianto arriva con le misure 2 e 3.
L’esordio del solista lascia intendere la maggiore espressività del Secondo
Movimento rispetto al primo, nonché una chiara volontà di esaltare la conquista di un
cromatismo strumentale impraticabile con gli antenati della tromba a chiavi: un esempio
è il trillo Mi – Fa, lungo ben due battute (4 e 5, su armonie di dominante e diminuita). Ma
non solo: tutti gli abbellimenti disseminati qua e là, e le note toccate durante tutto il
movimento; non va infatti dimenticato, a costo di essere ripetitivi, che il solista qui suona
alla sottodominante minore di Mi maggiore… Questo primo episodio si esaurisce a
battuta 12, con la modulazione a Do maggiore: qui inizia il tema vero e proprio, in cui si
può osservare che, a fronte di un accompagnamento pressoché statico dal punto di vista
ritmico, il disegno melodico del solista si fa più fitto. I valori larghi delle prime misure
lasciano infatti il posto alle terzine di crome, per poi giungere al culmine con la scala
cromatica e successivo trillo di misura 27.
L’orchestra prosegue per altre tre misure, a chiudere il discorso sul Do maggiore,
interrompendo temporaneamente il disegno terzinato; poi, d’improvviso, un Mi
maggiore con indicazione agogica “forte” riporta il centro tonale verso il La minore,
anche se in realtà, nelle misure da 32 a 40, questa tonalità viene toccata solo una volta
(battuta 33): le nuove possibilità dello strumento risultano così rafforzate dal fluire
dell’armonia delle suddette misure, che porta ad un cambio di modo (da La minore a La
maggiore) passando attraverso una progressione di settime con i bassi cromatici
discendenti; espediente, questo, dotato di un sapore vagamente pre – romantico.
 


Le misure 41 e 42 fungono da breve interludio orchestrale alla ripresa del tema di

misura 43, dove il materiale già ascoltato in precedenza viene riproposto a distanza di


una terza minore discendente, con qualche elaborazione più o meno “spinta”,


specialmente dal punto di vista degli abbellimenti e degli accorgimenti virtuosistici, come



ad esempio le scale diatoniche veloci delle misure 60 e 61.

Le ultime nove misure del movimento hanno funzione di ponte modulante, per


riportare il centro tonale verso il Mi maggiore del Rondò finale.

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TERZO MOVIMENTO – RONDÒ (ALLEGRO)

 
 
A titolo di anticipazione di carattere generale, l’attribuzione del nome “Rondò”
appare abbastanza discutibile, per un motivo molto semplice: si può notare una effettiva
struttura A – B – A – C fino a battuta 167, ma questa stessa struttura non trova una
oggettiva conclusione nella parte finale: infatti, considerare tutto il discorso delle battute
da 167 alla fine come una A’ può sembrare una costrizione eccessiva, data la complessità
non tanto del commento orchestrale quanto della parte solistica, che in quelle battute
conosce il culmine del virtuosismo. Ciononostante, è questa una semplificazione
accettabile, dati i fini accademici della presente trattazione e tenendo presente che si
tratta del Terzo ed conclusivo Movimento di un concerto per solista ed orchestra.
Ma analizziamo ora ognuna delle sezioni qui individuabili.
Il tema principale della A (misure 1 – 20) è tipicamente trombettistico, con quel
suo inizio quasi da fanfara ed uno sviluppo melodico scoppiettante fatto di articolazioni
staccate semplici e doppie; in questo frangente, l’orchestra si mantiene piuttosto dimessa,
accompagnando con armonie semplici (tonica, dominante, al massimo un secondo grado
– Fa# minore – alle misure 7 e 8) e con figure ritmiche ricalcanti la melodia della tromba,
eccezion fatta per il pedale di dominante delle misure da 9 a 12, decisamente di più
ampio respiro. La sezione A prosegue e si conclude con la risposta dell’orchestra (misure
20 – 31), di carattere non meno baldanzoso del precedente episodio: anche in questo caso
l’armonia è molto semplice, ridotta com’è ad un pedale di tonica degli strumenti di
registro grave a supporto del disegno sincopato delle parti acute.
Le misure da 32 a 58 vedono l’esposizione della parte B, caratterizzata dalla
modulazione a Si maggiore: la melodia solistica si fa decisamente più diatonica – anzi,
 
verso la fine, sconfina nel cromatismo, in direzione ascendente – senza però perdere la
vena quasi battagliera della sezione precedente; allo stesso tempo, l’accompagnamento
orchestrale assume una fisionomia più sussurrata (non si arriva mai ad un vero “forte”),
poco invadente e quasi ballabile. La conclusione della melodia affidata al solista coincide
con l’inizio del pedale di dominante (misure 58 – 68) che porta dritti alla ripresa della A,
praticamente identica eccetto un paio di elaborazioni melodiche per diminuzione. Da
notare, nel pedale, la comparsa delle terzine di semicrome, sia nella parte della tromba
che in quella orchestrale: il triplo staccato entra di prepotenza nel ventaglio delle
possibilità di articolazione dei trombettisti…
Una improvvisa modulazione a Mi minore segnala l’inizio della C del rondò
(misure 100 - 166). Probabilmente, questa è la sezione strutturalmente più articolata,
dove un tema più melodico e cantabile si contrappone ad un altro tema, decisamente più
breve e di carattere più scoppiettante. Non pare di trovarsi nel torto se si suggerisce una
suddivisione della C nelle seguenti sotto – sezioni:
 
MISURE
 
 
Sotto – sezione “a” 100 – 118
Sotto – sezione “b” 118 – 133
Sotto – sezione “c” 133 – 149
Sotto – sezione “d” 150 – 156
Pedale di dominante 156 – 166
Anch’esse, nella loro globalità, sono contraddistinte da un flusso armonico
piuttosto semplice: una serie di progressioni II – V – I, modulazioni alla relativa
maggiore (La maggiore), sottodominanti, e poco di più (progressioni cromatiche
discendenti del basso con accordi diminuiti, misure 136 – 145). Per la precisione, va
detto che:
 

“a” e “c” iniziano in modo molto simile, ma trovano conclusioni

nettamente opposte: la prima va stringendosi sempre più con un disegno


discendente, mentre la seconda ascende per valori larghi fino al Si sopra il


rigo;


 

 

la “b” inizia come una fanfaretta sugli accordi di tonica (La maggiore) e  

dominante in primo rivolto, per poi trasformarsi in uno spunto tematico


sulla scala minore armonica;


 

la “d” riprende, intensificandolo, l’andamento “a squillo” della “b”, e si
  
può considerare un’anticipazione della ripresa della sezione finale.


Quella che, in precedenza, è stata definita A’ inizia con sporadici commenti della


tromba al discorso dell’orchestra: tutti questi primi interventi riecheggiano del carattere


di fanfara che permea tutto il Movimento, ma a battuta 193 l’atmosfera vira decisamente

verso il virtuosismo, dapprima con figurazioni a semicrome e gruppetti, in seguito con
terzine di semicrome, infine (dopo una scala discendente in parte cromatica) con un
lungo trillo – misure da 218 a 232 – che parte dal Si e arriva cromaticamente al Fa#.
Il finale è una riproposizione, a mo’ di Stretto conclusivo, di spunti tematici già
ascoltati in precedenza.
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